RECENSIONI CINEMATOGRAFICHE 
film italiani

 
 
C'ERA UN CINESE IN COMA
GARAGE OLIMPO
 LA LINGUA DEL SANTO
 AL MOMENTO GIUSTO


 
   C'ERA UN CINESE IN COMA

Carlo Verdone

 
Ercole è un impresario teatrale che spesso è costretto ad affrontare serate burrascose. Il suo autista, Niky, è un giovane studente universitario che ogni tanto rincuora il suo datore  di lavoro con qualche barzelletta. E lui, l’impresario, lo spinge sul palcoscenico una sera che si vede costretto a riempire, in qualsiasi modo, una serata….
   E’ già da qualche film che Verdone tenta il salto di qualità, di uscire non dico da un coma ma da un letargo creativo, di rinnovare la sua comicità e il suo modo di fare cinema. Si sente la mano di Giovanni Veronesi che firma con Verdone il soggetto e la sceneggiatura. Le intenzioni sono buone, il regista è animato dalla voglia di raccontare storie con dei valori dentro che però restano in superficie dato che fanno da contorno, da riempitivo al solito coattismo simpatico e sconclusionato. Qui, per esempio, cede fin troppo spazio all’altro protagonista, e la cosa è positiva, (anche se la recitazione di Fiorello non ha entusiasmato), però il film non graffia, e nulla dentro ci smuove.  "Gallo cedrone", il suo lavoro precedente, era un film più spontaneo e simpatico, con meno sensi di colpa nei confronti della sua comicità semplice e “ruspante”.
   Si lascia la sala cinematografica quasi amareggiati perché convinti che il regista poteva far meglio e che forse l’attore (Verdone), sempre bravo, farebbe bene a lasciarsi guidare con umiltà da altri autori. Magari in ruoli fuori degli schemi prestabiliti che ormai da decenni si è cucito addosso.

Con Carlo Verdone, Beppe Fiorello, Marit Nissen (Italia, 2000).

marzo 2000
Alex Brando

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          GARAGE OLIMPO

Garage Olimpo

   "Garage Olimpo" (Italia, 1999) non è un film autobiografico, come si è letto da qualche parte. Vero è, però, che il regista, l’italo-cileno Marco Bechis, fu arrestato e torturato per tre mesi nel 1977 e anche lui, come la protagonista del film, faceva il maestro elementare. Buona parte delle scene si svolgono in uno dei 365 garage, sotterraneo, palestra ecc. dove venivano portati i “nemici” (o presunti tali) della dittatura argentina, al di fuori dei quali la vita di Buenos Aires seguitava a trascorrere tranquillamente. Tanto che nel 78 vi si poterono giocare i campionati mondiali di calcio fingendo, le diplomazie dei vari stati, di non sapere nulla di ciò che accadeva dietro le quinte. Nel colpo di stato argentino non ci fu, infatti, lo sfoggio dell’esercito, come avvenne nel 1973 in Cile, no, la lezione fu bene assimilata e gli stadi non si riempirono di oppositori al regime, tutto si compiva di nascosto e ciò bastò ad evitare proteste e condanne internazionali. Anche se tutti, poi, sapevano dei soprusi, dei sequestri, delle continue violenze.
   Furono in trentamila a sparire (500 erano italiani) tra il 76 e l’82 nell’Argentina di Videla, gettati ancora vivi nell’oceano, come ha testimoniato Adolfo Solingo, probabilmente l’unico generale pentito. Il film vuole ricordare i “desparecidos” con una ricostruzione rigorosa, storica, efficace per poi avanzare un’analisi del rapporto tra vittime e carnefici. Da un lato c’è il torturatore Felix, dall’altra l’insegnante Maria, i due si conoscevano bene, visto che vivevano nella stessa casa. Ora, nella prigione clandestina, vivono una impossibile e ambigua storia d’amore. 
   Oggi la tragedia dei desparecidos è stata vergognosamente archiviata, nessuno ha realmente pagato per quella carneficina. Scrive il regista del film: “i responsabili dello sterminio circolano liberamente per le strade, sequestratori, torturatori, colonnelli,  generali. Capita di incontrarli in un bar, in un ristorante, in un cinema. Capita anche che qualcuno li riconosca e li insulti. In genere il criminale accenna un sorriso beffardo e si risiede a tavola, bene o male è soddisfatto di essere ancora qualcuno. Ecco cos’è l’impunità.”
 Il film, che ricorda “La notte della matite spezzate” di Hector Olivera,  è tragico, teso, rigoroso. Bechis è bravo ed evita con cura la violenza visiva che troppo spesso diventa puro spettacolo, per dare maggiore risalto a  particolari che in quel contesto di sopraffazione, di umiliazione continua, di totale isolamento, di crudeltà gratuita dove la vita umana non ha più alcun valore, sembrano assurdi: le rilassanti partite di ping pong dei carcerieri, la loro precisione maniacale nel timbrare il cartellino o nel compilare schede, informative, rapporti, nel darsi il cambio a fine turno: una normalità che nasconde l’inferno e ci rivela la non necessità d’essere un “mostro” per compiere spaventose atrocità.

   "Garage Olimpo" è stato presentato al Festival di Cannes nel 1999 ed ha ottenuto numerosi riconoscimenti.  Bravi gli attori: Antonella Costa, Carlos Echevarrìa, Chiara Caselli, Domenique Sanda, Paola Bechis. 
   Marco Bechis, nato in Cile nel 1955 da padre italiano e madre cilena, ha esordito alla regia nel 1991 con il film "Alambrado". Da vent’anni vive tra Milano, New York, Parigi.

luglio 2000
Alex Brando



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        LA LINGUA DEL SANTO

Albanese e Bentivoglio

Due ladruncoli s’incontrano di notte in una scuola, sono Antonio e Willy detto “Alain Delon”, e diventano amici inseparabili. Entrambi quarantenni, senza uno stipendio sicuro, incapaci di farsi largo nella vita. Antonio (Antonio Albanese) fa il ladro di professione, già giocatore di rugby professionista e che ora entra in campo solo per battere le punizioni, Willy (Fabrizio Bentivoglio) faceva il rappresentante, ma ha perduto in un colpo solo  moglie e lavoro, e ora prova ad arrangiarsi, a tirare avanti alla meno peggio.
 Vagabondando per le strade di Padova ci si imbatte in numerosi personaggi, uno più strano dell’altro. Dal capo della comunità Rom del posto ed esperto in diamanti e gioielli ad un industriale megalomane, sino a Sant’Antonio (da Padova). I due s’impossessano d’una preziosa teca che contiene una sacra reliquia: la lingua del santo, appunto, e chiedono un grosso riscatto all’autorità religiosa. E’ il colpo grosso sognato tutta una vita, sì, ma anche un modo per prendersi una rivincita sulla società: ora la devota e ricca cittadina è nelle loro mani.
 "La lingua del santo" è il settimo film di Carlo Mazzacurati (nato a Padova nel 1956), il regista confeziona un buon affresco della nostra società fondendo insieme l’Italia dei disadattati, di coloro che vivono ai margini, e quella bene integrata, benestante, anche violenta e spavalda perché vincente, perennemente in crescita. 
Il film ogni tanto s’impenna verso il surrealismo con il santo che appare ad Antonio e lo implora di restituirgli la lingua, o si fa elegiaco con le immagini nebbiose della laguna che sale e scende ogni sei ore, come una specie di respiro. Anche il tono picaresco a volte stride con i risvolti duri, sociali della vicenda narrata, ma nel suo complesso il lavoro di Mazzacurati è valido e suggestivo. Si è coinvolti, si ride spesso, anche se amaramente.
Molto curati i dialoghi e la fotografia. Buona e convincente la recitazione degli attori, con un Bentivoglio che, grazie al personaggio assegnatogli, riesce a mettere in risalto tutta la sua bravura.

La lingua del santo
(Italia , 2000)
Regia: Carlo Mazzacurati
soggetto e sceneggiatura: Carlo Mazzacurati, Franco Bernini, Umberto Contarello, Marco Pettenello
Fotografia: Alessandro Pesci
Scenografia: Alessandro Scarpa

ottobre 2000
Alex Brando

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          AL MOMENTO GIUSTO

Panariello

Giorgio Panariello è di Livio Perozzi, un simpatico giornalista di provincia di Tele Luna, tanto sfigato quanto fanfarone. Il “ragazzo maturo” vive con la nonna e da sempre aspira allo scoop straordinario, travolgente che gli dia la spinta decisiva a fare un salto di qualità e lo faccia diventare famoso. Prima o poi accadrà, ne è più che sicuro perché lui, dice di sé il Perozzi, ha “il guizzo”, che non è una malattia ma una presunta genialità giornalistica.
Per una semplice coincidenza si trova nel posto giusto, “al momento giusto” e assiste in cronaca diretta al crollo della Torre di Pisa. In un attimo Livio Perozzi si ritrova catapultato sugli schermi di tutti i TG del mondo e diventa giornalista di punta del TG1 della Rai. Si porta dietro la sua squadra di fiducia e sceglie un tipo di contratto “da inviato speciale” che prevede uno scoop all’anno. 
La troupe parte in giro per il mondo alla ricerca di un altro colpo eccezionale, ma non è facile, e il tempo vola. Così il giornalista gioca l’ultima carta: l’invenzione veritiera, ovvero una storia inventata, sì, ma non priva di fondamento. Altro successo e allora alcuni affaristi-trafficanti cominciano a temerlo…

Il comico toscano dopo l’esordio con "Bagnomaria" (1999) ci riprova, ma eliminando le storielle comiche d’origine televisiva. Vola basso, fa un piccolo film, ma vero, ben curato, dando spazio agli altri attori del cast. Non manca la bellezza femminile prorompente con Luisa Corna nel ruolo della fotografa rampante e quella più discreta di Kasia Smutniak, che fa parte della troupe del giornalista Perozzi. Nulla d’eccezionale, d’accordo, ma "Al momento giusto" è un film godibile che va inserito nel prolifico filone della comicità dialettale, quella toscana appunto, che va da Benigni a Nuti, da Pieraccioni a Ceccherini e che ha dato ottimi risultati, soprattutto con il pubblico.
Panariello ne ha curato la regia, e anche la sceneggiatura. A chiusura del film appare un ringraziamento all’amico e presentatore televisivo Carlo Conti perché, rivela l’attore, l’idea della Torre di Pisa che crolla e del giornalista fallito che si trova lì casualmente ed è pronto a riprende la scena è nata dopo una chiacchierata tra i due.

Al momento giusto
(Italia, 2000)
Cast:
Giorgio Panariello  Livio Pierozzi
Kasia Smutniak  Serena
Luisa Corna   Lara
Athina Cenci   Direttrice Tele Luna
Riccardo Garrone  Direttore TG

Regia:   Giorgio Panariello, Gaia Gorrini
Produzione:   Cecchi Gori
Sceneggiatura:  Giorgio Panariello, Andrea Dal Monte

novembre 2000
Alex Brando

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ultimo aggiornamento 8 giugno 2001

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