R.A.L.F.

di Maurizio J. BRUNO 

 Il sole tenue e freddo di quel mattino di dicembre avvolse Marco mentre attraversava la piazza. Anche se una decina di bambini, e relativi genitori, ne coloravano un angolo, quella piazza era così immensa da sembrare vuota. Si rialzò il bavero del giaccone e imboccò a passo svelto il viale che lo avrebbe portato all'ingresso della sua Facoltà. Aveva camminato per quei luoghi per decine, forse per centinaia, di volte ma quella mattina tutto sembrava avere un aspetto particolare.
 Si era laureato da meno di mese ed era la prima volta che ritornava nel laboratorio universitario che aveva occupato quasi notte e giorno nei nove mesi precedenti. Non era ancora abituato a sentirsi chiamare "Ingegnere" ma il saluto dell'usciere non lo sorprese dal momento che questi conferiva il titolo perfino alle matricole.
 Il laboratorio era in pratica esattamente come lo aveva lasciato un mese prima. L'unica differenza era che adesso, seduta di fronte al "suo" calcolatore, c'era un'altra persona. Provò un leggero senso di gelosia e si domandò istintivamente se i file e i programmi che aveva lasciato sul disco rigido fossero stati cancellati dal nuovo tesista o fossero invece ancora lì come antiche vestigia del suo passaggio. Non ebbe però il coraggio di interrompere il lavoro dello studente solo per il desiderio di soddisfare una sua curiosità: dopotutto oltre la sua copia personale su dischetti, una copia su CD-ROM di tutto il software del suo progetto si trovava al sicuro nell'ufficio del professore che aveva seguito la sua tesi. Si diresse allora verso l'armadietto che portava ancora l'etichetta col suo nome e l'aprì con la chiave che aveva ancora legata al portachiavi. Vi trovò, ovviamente, tutto quello che ricordava di avervi riposto: fogli pieni di schemi e formule scritte a matita, qualche Data Book di componenti elettronici, delle riviste e la scatola dei suoi cacciavite di precisione. Aveva appena cominciato a sistemare tutto nella grossa valigetta che aveva portato con sé quando udì un ronzio molto familiare: era RALF. 
L'acronimo non gli era mai piaciuto del tutto: Robot Automatico Localizzatore di Fonti di energia. Faceva pensare ad un grosso mostro fantascientifico magari di aspetto umano in grado di individuare, come un rabdomante, pozzi di petrolio e giacimenti di uranio. Ma pronunciato così, come il nome di qualche personaggio di un cartone animato, "Ralf" si adattava bene a quella specie di automobile radiocomandata che adesso lo stava inquadrando attraverso la minitelecamera a colori di cui disponeva. Per un attimo fu come se il suo sguardo e quello elettronico di Ralf si fossero incrociati ma Marco non ebbe il tempo di focalizzare questo pensiero perché fu interrotto da una grossa pacca sulla spalla. 
 "Ingegnere, come mai da queste parti ?" 
 "Claudio, ciao ! come stai ? Sono venuto solo a riprendere delle cose che avevo lasciato."
 "Cose mie !" aggiunse sorridendo "non preoccuparti che non porto via niente che appartenga alla Facoltà." 
 Claudio scoppiò in una risata fragorosa. Era magro e alto più di due metri con un sorriso pacifico sempre stampato sul volto. Si era laureato da poco più di un anno ma era restato in facoltà come collaboratore proprio del docente che aveva seguito Marco nella tesi. Essendo quasi coetanei i due erano diventati buoni amici e per tutta la durata del progetto di Marco avevano pranzato insieme alla mensa della facoltà e avevano imparato a conoscersi bene. 
"Non mi aspettavo di trovare Ralf ancora in giro" disse Marco. 
"Cosa vuoi? Non dà fastidio, è autosufficiente, lo abbiamo lasciato in giro come se si trattasse di un cagnolino" rispose Claudio. Poi aggiunse "meglio che ritorni nel mio ufficio altrimenti il "prof" ripeterà ancora una volta che sei tu a farmi perdere tempo! Vieni a salutarmi prima di andar via." 
 Marco fece con la mano un cenno di saluto allo spilungone e gettò un'altra occhiata al suo capolavoro che ronzando si stava dirigendo in un'altra stanza, poi riprese a deporre nella valigetta il materiale che aveva trovato nell'armadietto. Quando ebbe finito decise che era giunto il momento di staccare dalla portina del mobiletto l'etichetta col suo nome. Fu proprio mentre eseguiva questa operazione che ebbe la chiara impressione che il suo lavoro in quel laboratorio non fosse ancora finito. Poco dopo riprese il suo giaccone, passò a salutare Claudio e uscì dalla Facoltà. Fuori il sole era scomparso e un atmosfera cupa prometteva di lì a qualche minuto lo scoppio di un brutto temporale. Affrettò il passo, si chiuse meglio il giaccone e si avviò velocemente verso la vicina stazione della Metro

Ultimo aggiornamento: 3/6/98
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