Raccolta poesie di:

Giorgio Leaci


Indice della raccolta:


Perso in Danimarca. Un caldo incontro. Ostello. Kranebet.
Non ne siamo più capaci. Senza sigarette, forse sarebbe stato diverso. Il tuo nome. Primi pensieri.
Un'anima in pena. Plip, plop. Desaparcida. Solo un sogno.
Non lo fare. Corri forte, in barba alla morte. W Christine. Ottusità.

 
 
 
 

Perso in Danimarca.

45 giorni. Solo 45 giorni. 
Dormivo dove il caso, l'abuso d'alcool o Dio 
- se mai fosse esistito - 
dettava la sua follia. 

Notti alienate, psicopatiche, 
ballando, sudando, bevendo, 
fino a che i crampi percorrevano il corpo 
come serpenti con allucinazioni alcoliche. 

Ne sentivo il dolore 
in una scintilla di lucidità. 

Bevevo, ballavo, 
ballavo, bevevo, sudavo, 
fino a che venivo preso 
dal vomito, dall'alba, dal portafoglio vuoto 
da un angelo biondo dai grossi seni 
e il vestito attillato. 

Se gli angeli 
fossero così nella Bibbia 
il mondo sarebbe cattolico. 

Bevevo, ballavo, 
ballavo, bevevo, sudavo, 
con i polmoni gonfi di nicotina, 
con i muscoli delle spalle rigidi in 
una contrazione di dolore. 
Mille erezioni a vuoto, 
letti divisi con sconosciute impregnate di alcool, 
notti piovose, fredde, solitarie, 
girando per le strade deserte, 
mal di testa eterno, 
nessun senso di colpa. 
Conscio della propria scelta, 
evasione che dura una vita. 
Una fuga dal nulla, dal conformismo, 
dalla gente 
e un solo vero unico amico: Farzam. 
Uno stupido viaggio nella Republica Ceca 

Lei era lì, 
di fronte . 
Mi fissava attraverso perle blu. 

Nessuna parola. 
Solo quello sguardo, 
quegli occhi tristi persi nel vuoto 
che c'era tra noi. 

Il freddo, la tristezza, il rimorso, 
il rimpianto e il fumo di sigaretta 
ci circondavano. 
Le uniche cose 
che avevamo in comune. 

Mi penetrava da parte a parte 
con lo sguardo. 
Non capiva perché mi avesse invitato. 
Forse in ricerca di un sogno, 
un tentativo di rubare al tempo 
ciò che era stato 
e ora solo ricordi di fiele. 

Ero con la solitudine, 
l'incomprensione 
e un bicchiere di whiskey tra le mani. 
Lei mi fissava con sensi di colpa. 
Io la guardavo con gli occhi lucidi e 
l'anima rivoltata come un calzino bucato. 
Pregai che avesse fine 
perché non lo meritavo.




Un caldo incontro.

Eravamo in tre e un balcone 
su uno splendido panorama, 
nascosto dalla notte puttana e avara. 
Whiskey non occupava i nostri 
bicchieri troppo a lungo. 
Attraverso le vene, i capillari 
raggiungeva le nostre anime, 
o quello che era rimasto. 
Tornammo a parlare, a sorridere, 
a vivere, e poi ancora a bere, a parlare, a sorridere, 
a vivere. 
Tutto fino all'ultima goccia. 

Eravamo in 3, abbracciati e saldati 
da una eterna amicizia. 
Loro erano in tre, 
sorridenti, felici, ingenue. 
Noi tre contro loro tre. Io contro di lei. 
Un sorriso, un invito a ballare. 
I corpi si sfiorarono, 
le labbra si accarezzarono. 
Timidi sorrisi e 
i nostri cuori 
batterono all'unisono. 
Una passeggiata sul molo, 
calde carezze, 
mani che scivolarono via sotto la gonna, 
come scoiattoli in amore che si 
rincorrono su un ramo. 
Poi baci umidi 
e caldi, 
come l'esperienza ha insegnato. 
Credevo che fossi io 
a condurre il gioco 
e mi ritrovai intrappolato. 

Dopo sei giorni 
eravamo in tre e un balcone 
su uno splendido panorama, 
sempre nascosto dalla notte puttana e avara. 
Due sorrisi 
che guardavano alla luna 
e il mio, 
amaro e accennato 
per la sua partenza, 
nascosto da un bicchiere 
di whiskey.




Ostello.

Camminando per le strade buie del centro, 
illuminate dalle candele fuori dalle finestre 
che si riflettono  sull'asfalto bagnato, 
cerco la via per l'ostello. 

Le strade sono deserte. 
La città dorme 
un sonno senza incubi e streghe. 
Quelle fanno parte della realtà 
di tutti i giorni. 

Quattro mura stringono 
e mi opprimono. 
Buchi e sporcizia sulle pareti, 
un lavandino sporco alla mia sinistra, 
un letto che cigola 
e si lamenta tutta  la notte. 
Non mi sopporta. 
Il pigiama che puzza 
degli umori di Cristine. 
Tutto questo per 
mantenermi vivo. 

Scendo le scale. 
Vado al reception desk. 
Chiedo alla ragazza dall'altra parte 
del banco se mi può vendere una sigaretta 
dal suo pacchetto. 
Mi risponde che vendono 
pacchetti interi. 
Anche questa è 
la Danimarca.




Kranebet.

Kranebet, 
liquore secco della montagna, 
a base di ginepro e radici alpine. 
Mi dispiace 
non ho trovato di meglio. 
Quattro bicchieri a testa 
e cancelleremo speranze 
e  malinconia. 
La migliore 
medicina. 
Non ha controindicazioni 
per l'anima. 
Quaranta gradi sull'etichetta 
e scenderemo giù in centro, 
sfidando lo stronzo inverno danese 
e il sorriso sul viso, 
riflesso della nostra amicizia. 
Balleremo fino all'alba, 
alternando un passo 
a qualche sorso di birra. 

Kranebet 
e la vita è più bella. 

Kranebet 
la vita è sempre quella. 

Con uno sguardo, 
frenato da folte sopracciglia 
che depili una volta al mese, 
mi indichi una ragazza che balla sola 
al lato destro della pista. 
Ti preoccupi sempre per me. 
Stai male se non sorrido. 
E' un riflesso dell'esistenza. 

Ci avviciniamo, 
stringendo la paura 
nelle mani, 
e torniamo con l'adrenalina 
nelle vene. 
Amiamo la vita. 
La vita ci ama alle volte. 
Di tanto in tanto si dimentica di noi, 
ma noi ci amiamo. 
E' questo che importa. 

Il resto 
è un contorno 
di un piatto che mai mangeremo. 

L'alba si avvicina, 
labile confine tra il nostro essere 
e quello che comincia. 
Confondendoci tra la gente 
che va a lavorare, 
torniamo al collegio.




Non ne siamo più capaci.

Giù, 
per le strade del centro, 
io, Ali, Farzam, Sonia e Maria 
andiamo in stazione, 
per comprare un pacchetto 
di Prince Light. 

Ci confondiamo con le tristezze. 
Beviamo da codardi, 
incapaci di reagire. 
Ci nascondiamo 
dietro 
una maschera, 
un bicchiere 
riempito più volte. 

Un albergo di lusso 
una grande porta di vetro. 
Entrerò solo per 
pulirne i cessi. 

Una puttana all'ingresso, 
con una pelliccia di leopardo, 
bionda come il leopardo, 
mi guarda curiosa, 
con il cellulare all'orecchio 
e pensa: 
Non mi fotterai mai nel culo. 
E' un lusso che non puoi permetterti. 
Ha ragione. 
Le mando un bacio 
e me ne vado. 

La stazione 
è piena di barboni, 
ubriaconi, 
emarginati, 
disadattati, 
drogati, calpestati 
e poi noi, 
non ancora classificati 
dal conformismo. 
Sonia, 
un barbone ti tocca il culo, 
mentre metto una corona, 
nella bacheca dei trenini elettrici. 
Oh, Guardate 
come corrono felici! 
Senza pensieri. 
Una corona 
e corrono felici. 
Due litri di 
vino bianco 
e anche noi corriamo felici. 

I treni corrono 
più veloci, 
sui binari dei pregiudizi, 
arma letale 
per lo spirito 
e la spontaneità, 
in questo secolo 
di non vincitori. 

Farzam, 
a chi daremo 
la corona di alloro, Eh? 
A chi la daremo? 
Alla puttana slava 
con cui ho pianto 
ieri notte? 
Al barbone 
che mi ha offerto 
uno spinello? 
A noi cinque? 
Non c'è 
molta scelta. 
Teniamo 
gloria e dolori. 

La neve scende piano 
e gela con la mano di morte. 
Rompiamo 
con i passi 
la monotonia per le strade 
di questa città 
senza più lacrime.




Senza sigarette, forse sarebbe stato diverso.

Una candela al centro del tavolo 
illumina e rende trasparente 
la birra nel bicchiere. 
Un doppio malto dal colore 
rosso rubino trattiene 
i pensieri. 
Pochi sorsi 
e la voglia ritorna. 
Ritorna sempre 
alla fine di ogni sorso. 
Questa volta altri bicchieri 
non aiutano a dimenticare. 
Lei è sempre lì. 
Ad aspettare 
che tu ceda e ne accenda un'altra. 
Sono un debole. 
Un vigliacco della peggiore 
generazione. 
Quella che si è venduta l'anima 
per alcool e tabacco. 

Una dopo l'altra, 
un sorso dopo un altro, 
un bicchiere dopo un altro 
non la calmano. 
La rinvigoriscono, 
la nutrono, 
la rendono forte, 
e tu, sempre meno resistente, 
cedi ad un nuovo compromesso, 
ad una nuova bugia: 
tanto da domani non fumo più. 
È inutile. 
È vano. 
La mano trema nervosa 
e le dita stringono 
la  prova della debolezza, 
della colpevolezza, 
che col capo rosso sgargiante 
brucia quel poco di buon senso 
che ti è rimasto. 

Il sacco a pelo 
tra le gambe 
e ti chiedi dove 
passerai la notte. 
La risposta non è tra un tiro ed un altro. 
Forse non lo sai. 
Non sai nulla. 
O forse lo sai e fingi di non sapere. 
La verità non t'interessa più. 
Una volta non era così. 
Era diverso, 
più bello. 
Continua pure. 
Fuma con calma fissando 
il bicchiere che trattiene i pensieri. 
Un sorso, un tiro, 
un sorso, due tiri, 
un sorso, tre tiri, 
una lacrima. 
Finisce così.




Il tuo nome.

Mi piace pronunciare il tuo nome 
quando mi alzo nel pomeriggio, 
dopo una notte alcolica, 
con la testa come un sasso, 
imbottita di mille paure 
che girano ubriache 
e vagano 
senza speranza. 
Il corpo sudato, tremante, 
i  ricordi 
infestano l'anima 
e non la lasciano, 
Pronuncio il tuo nome. 
Sono stanco. 
Ho la testa 
in una morsa di dolore, 
mentre la mano trema 
quando ti scrivo. 
Ti sento lontana, 
infelice, 
e allora pronuncio il tuo nome. 

Voglio solo dirti, 
nonostante i momenti terribili 
trascorsi insieme, 
gli stupidi e inutili discorsi 
che hai sempre fatto, 
tutto è stato meraviglioso. 
E quelle due parole 
di cui ho sempre avuto paura, 
ora non le temo più: 
Ti amo. 
Girando in tondo. 

Tutto gira, gira 
e non si può fermare. 
Due occhi rossi 
fissano uno specchio 
che riflette 
uno spirito puro e perso. 
Una mano sbronza 
che non riesce 
ad aprire il rubinetto, 
mille pensieri, 
girando in tondo, 
mi  lasciano solo. 
Tutto gira in tondo, 
ma finisce 
sempre al punto di partenza. 
Una pinta di birra 
e riprendo il mio giro. 
Giro in tondo, 
con i miei pensieri, 
con il mio sacco a pelo, 
orgoglioso che nessuno 
mi potrà mai fermare.




Primi pensieri.

I raggi del sole 
- mano violenta di Dio- 
entrano dalla finestra 
senza tende e 
mi schiaffeggiano il viso. 
Mi siedo 
da animale ferito. 
I postumi d'una sbronza 
sono la prova che sono stato 
battuto dalla vita. 
Le spalle sul muro freddo e nudo 
e quel corpo di donna 
che mi volge la schiena. 
Chi è? 
Chissà se anche lei 
ha lo stomaco che brucia 
e l'alito pesante. 
Cosa accade nel mondo 
quando si è sbronzi? 
Chissà se anche il resto 
del mondo si pone le stesse 
domande, a terra  di primo mattino? 
In quanti saranno 
a chiederselo? 
Bevo un bicchiere di vino 
e me ne torno a dormire.



Un'anima in pena.

Circondato dai problemi, 
dalla comunità araba, 
dai genitori, 
da una moglie gelosa e cornuta, 
dalla disoccupazione, 
da un'amante polacca suicida. 
Non riesci proprio ad uscirne. 
Sei circondato. 
Tiri il tabacco 
al sapore di fragola andato a male 
e  con gli occhi persi nel fumo 
cerchi una soluzione 
a tutto. 
Non la trovi. Non c'è. 
Circondato dai problemi 
e dai pensieri. 
Solo dai pensieri 
puoi fuggire. 
Bevi 
fino a che l'ultima 
goccia copre 
con un guanto d'illusione 
l'ultima paura 
e sorridi felice.



Plip, plop.

La notte è lunga, 
buia e interminabile 
come la goccia 
che cade dal rubinetto della cucina. 
Plip, plop, plip, plop, plip, plop, plip, plop. 
Il tempo è stanco 
e questa notte 
ha deciso di riposare. 
Plip, plop, plip, plop, plip, plop, plip, plop. 
Devo trovare un modo per fermare 
i pensieri nella Testa. 
Niente alcool. Niente vino. 
Solo maledetti ricordi 
che passano davanti 
come  flash schizzati. 
Plip, plop, plip, plop, plip, plop, plip, plop. 
Penombra attorno. 
Nudo nel letto 
i pensieri mi torturano. 
Alimentano l'insicurezza, 
e la goccia continua: 
Plip, plop, plip, plop, plip, plop, plip, plop. 
I pensieri seguono il suo ritmo 
nella testa. 
Le mani sudate, 
la gola secca 
e lei incessante: 
Plip, plop, plip, plop, plip, plop, plip, plop.



Desarpacida.

Guardo dentro 
e non trovo nulla. 
Solo un po' di cenere 
e qualche bottiglia vuota. 
Una volta c'era la gioia 
ora nemmeno una sua impronta.



Solo un sogno.

Steso, 
guardo il soffitto. 
Cerco di sistemare 
i pezzi del puzzle 
sparsi dietro. 
Ogni singolo attimo, 
ogni carezza, ogni capriccio, 
ogni orgasmo. 
Mi guardo attorno 
e vedo gli oggetti di sempre, 
tutti nel loro ordine irrazionale, 
come se mi fossi 
svegliato all'improvviso 
da un sogno. 
Ho l'amaro in bocca. 
Ti ho amata e ti amo 
più che mai. 
Mi sforzo ma non ci credo 
che sia veramente successo. 
Forse è stato solo 
uno stupido sogno.



Non lo fare.

La ragione lascia dietro di sé 
solo un ricordo, 
un'impronta sulla sabbia cancellata dalla marea, 
un sussurro d'amore che presto sarà dimenticato. 

E' inutile che bussi 
alla porta della mia camera, 
in preda ad una crisi isterica. 
Non ho soluzioni. 
Se le avessi, le avrei usate per me. 
E' inutile che piangi 
lontano dalla tua città natale, 
solo, 
straniero in terra straniera. 
Zitto, bevi e scopa 
perché il momento del riscatto 
è vicino. 
Prendi il sussidio del 
governo e offrimi da bere. 
Brinderemo insieme alle nostre sfortune. 
Bevendo, 
scioglieremo i nostri pensieri 
e ci vorremo più bene. 
Un bene che solo pochi hanno provato. 

Liberi dal tempo, 
dalla pace, 
dall'eiaculazioni precoci 
che generano fantasmi nella gioventù perduta, 
noi ci amiamo. 
Nessuno potrà cancellare 
quello che abbiamo 
fatto in questi anni. 
Lo abbiamo scritto dentro 
e lo porteremo fino alla fine. 
Siamo due anime 
che si sono incontrate 
in questo paradiso falso e stanco. 
Non dimenticarmi.




Corri  forte, in barba alla morte.

Corriamo forte, 
ma non riusciamo a sfuggirle. 
Attaccato al telefono, 
quattro kr. al minuto con la Repubblica Ceca, 
per salvare quel poco 
di vita che è rimasta, 
mi chiami dalla cucina 
per ricordarmi che la pizza è pronta. 
Non so chi dei due è più folle. 
Nessuno lo capirebbe. 
Abbracci una donna 
che non ami, 
ospiti e sfami, 
e ti chiedi perché ami Marketa. 
Non ho una risposta 
abbastanza convincente. 

Il vino cade 
dalla bottiglia colpita dal mio avambraccio, 
e tu ridi. 
Ali mette le mani addosso 
la tua donna 
e tu ridi. 
Luigi si sposa 
e tu ridi. 
Emanuele mette la testa a posto 
e ridiamo insieme. 
Il sangue 
scrive il suo nome 
sulle mie mutande, 
nessuno ride. 
Per fortuna 
era solo un brufolo. 

Evviva la follia




W. Christine.

Sono stato cattivo con Christine. 
Non avevo un posto dove dormire. 
Un commissario di trentanove in Spagna, 
un ingegnere danese, ricco di trentadue, 
hai scelto Giorgio, 
italiano di ventitre. 
E' stata la tua rovina. 

Il culo molle che ti cadeva, 
i bei seni sodi. 
Mi dicevi che ti piaceva il mio corpo. 
Poi mi rassicuravi 
dicendo che ti piaceva anche 
quello che di folle girava nella testa. 
Lo trovavi forte 
e pieno di carattere. 
E' stata la tua rovina. 

Mi abbracciavi forte 
quando sentivi che venivo. 
Poi venivi anche tu. 
Dicevi che ti piaceva venire con me. 

Ti ricordi quando accarezzavi i miei peli ricci sul petto, 
ed io ti massaggiavo dentro. 
Trattenevi il piacere. 
Frenandolo in gola, 
ma inutilmente. 
Lo sentivo 
e mi eccitava. 
Tu pensavi a  Enrique lo Spagnolo, 
io a Marketa la Ceca, 
e poi scopavamo. 

L'ultima notte 
mi chiedesti se sarei tornato. 
Risposi di sì. 
Era vero, 
ma non so quando. 
La campana suona. 

La campana della chiesa protestante 
suona alle sette del mattino, 
e tu bestemmi 
in Iraniano. 
Ti ascolto 
dal divano sfondato, 
e non capisco una parola, 
ma sono d'accordo con te. 

Le tette 
appena coperte da un Body azzurro, 
sbattute a destra e a sinistra, 
mi chiamavano. 
Risposi, 
ma ero la persona sbagliata. 

La campana della chiesa protestante 
suona 
e siamo appena rientrati. 

Una notte al Crazy Daisy, 
pieni d'alcool, 
una spaghettata al tonno e peperoncino. 
Occupiamo i nostri giacigli. 
Tu il tuo letto, 
io il tuo divano sfondato. 

E la campana della chiesa protestante 
suona fottendosene 
degli stronzi ubriachi che vogliono dormire.




Ottusità.

Poche parole 
per dire la tua. 
Nessuno capisce. 
Si lasciano trasportare 
come tronchi in un fiume. 
Navigano senza sapere dove. 
Inutili. 

Un bicchiere 
si riempie di continuo 
E' la verità più bella. 
Una cortina d'illusione, 
conforto dei deboli, 
e sparisce al mattino 
come la nebbia ai 
primi raggi di sole, 
e noi 
siamo ancora 
troppo vivi 
per essere spenti. 

La testa batte, 
il cuore trema, 
l'alluce sporco 
di tartaro 
mi fissa con disprezzo. 
I peli escono dalla maglia 
in doppio cotone. 

L'importante 
è essere vivi, 
lasciando la legna bruciare.



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Data di pubblicazione 6/3/2000
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