Raccolta poesie di:

Reno Bromuro


Indice della raccolta:

 
In treno, una sera. Non ci sarà più sole. La vita.
Malinconia. Signorina felicita. Napoli.
Canto di sera. Canto di notte. Soffocamento.
Assenso. Due tombe. Aurora.
Lettera. Mio padre. Suono di campane.
Desiderio appagato. Meditazione. Chi sei?

 

In treno, una sera.

L’incerto mio cammino
ogni sera
mi portava alla gioia:
ti trovavo in attesa.
Ma quel giorno dal treno
un uomo cadde in tonfo;
e disse qualcuno:
Un uomo è morto…
Era morto un uomo!
Ed io più forte sentii la gioia
Di saperti in attesa all’arrivo,
creatura di vita
per l’altra viva creatura.



Non ci sarà più sole.
Dicevi: “A primavera
Avremo tanto sole…”
Ma venne la primavera,
e fu freddo ed ombra;
e ne vennero altre,
ma ombra e freddo ancora.
Amore, eri tu quella
che potevi donarmi
luce e calore:
ma con le tue vane promesse
il sole fu vana speranza.
E torni pure aprile:
io non me ne avvedrò:
non ci sarà più sole.



La vita.
Sappilo, amore:
è solo un fiore, la vita,
dallo stelo sottile
che al primo vento un po’ forte
si spezza.
Vale soltanto, amore,
nel timore del nulla in agguato
tenersi per mano…



Malinconia.
Ogni uccello torna al nido,
e talvolta anche alla gabbia:
ma io non tornerò.
Lasciamo dimenticare,
lasciami immergere il capo
nell’acqua dell’oblio.
Se ritornassi, un’ombra
ti troveresti avanti:
solo Dio può far morire
e poi chiamar dal sepolcro.



Signorina felicita.
Ho conosciuto quella del poeta,
la quasi brutta, priva di lusinghe:
te, non t’ho mai veduta
se non nelle parole delle madri,
che nuora ti sognarono.
Signorina Felicita,
par che vederti in volto
sia privilegio raro:
io non vorrei sciuparti
neppure in sogno: resta
nel tuo giardino chiuso:
forse verrò a vederti,
quando pel cuore amareggiato e stanco
vorrò l’amor d’un simbolo sublime,
fuor della vita, esangue.



Napoli.
Note arabescate
sullo sfondo azzurro del mare,
poeti che sognano
un mondo che domani
abbia un sorriso e una lacrima
per gli affanni di tutti.



Notturno.
Voci rivenditori
Malinconiche e tristi,
luci multicolori,
cuori innamorati in attesa,
nottambuli viandanti
per le strade illuminate
dalla splendida luna.



Canto di sera.
Quando giunge la sera,
d’inverno o di primavera,
il cuore mio comincia a cantare.
E nella silenziosa pace
dà un addio alla malinconia:
cantando si sente felice,
perché il suo pianto
nel canto
si fa gioia sommessa.



Canto di notte.
Tutte le sere,
a mezzanotte,
sale dalla strada un canto.
“Un canto nella notte”
penso fra me.
E mi chiedo ogni sera
chi mi porti tanta pace col canto.
Suvvia, cantore:
la luna è già scesa oltre Baia:
cantore, è tardi, riposa:
anche troppo presto
verrà la luce,
tornerà l’affanno.



Il mio regno.
Talvolta mi creo
nell’orrore notturno
angosciosi silenziosi,
medicina sperata
per placare l’insonne nemico.
E la luna,
amante dell’anima,
si circonfonde di rosso torpore.
Così si placa l’anima.



Soffocamento.
Squarciate le mura 
di questa camera tetra,
spalancate nuovissime finestre
su cieli d’abisso.
Qui non c’è luce, mio Dio,
qui non c’è speranza di luce.
Fate ch’io mi senta
Diventato diafano,
datemi, Signore,
l’immenso respiro del Tutto.



Assenso.
E così sia!
Ringraziate pure il Signore
Di questo nuovo giorno trascorso,
di questo pane morso,
del poco vino bevuto,
del molto che invano chiedeste,
del poco che vi fu provveduto,
della facoltà che vi è data
di chiedere ancora domani.
S’allunghino le vostre mani,
bambini malaticci e rassegnati,
al pomo della povera mensa:
ringraziate di tutto dispensa
del poco che vi diede,
pregate.



Due tombe.
Fra tante tombe
Ne cerco due,
le tombe a me più care,
due persone da amare
oltre la vita.
Io cerco voi, don Franco,
io cerco te, Enrico.
Trovare le vostre tombe,
muovere la gelida pietra,
ritrovarvi compiacenti e buoni,
sorridenti come un tempo…
Ma presto torno indietro:
le vostre tombe sono in me,
la vostra, don Franco,
la tua Enrico,
e solo in me voi vivrete,
finché io pure vivrò.



Aurora.
L’ultima stella impallidisce
E il cielo lentamente si colora
All’oriente d’un tenero rosa.
Il sole ritorna,
il sole torna a splendere,
splende più caldo il sole:
come risorge l’anima,
che al primo tramonto
si credeva perduta.
Anima, hai ritrovato l’Aurora,
e l’hai chiusa nel cuore,
novello dono di Dio.



Lettera.
Amico insperato, ascoltami,
ho solo vent’anni.
Ma, te ne prego, non dirmi 
Ch’io son della vita alle soglie.
Amico insperato, la vita
m’è sfiorita in cuore a vent’anni:
nell’anima ho rughe profonde
pel pane che non mi bastò,
per la luce che non ebbi.
Se ti dicono, amico insperato,
che il sole splende per tutti,
smentisci la stolta menzogna:
nella mia vita non c’è stato sole.
Forse domani, se tu
non sparirai alla mia sete,
dirò che vedo l’aurora.



Mio padre.
Un urlo angoscioso alla mia porta,
in quella notte di tempesta,
ma all’uscio non trovai nessuno:
solo, mi parve, l’odore del mio sangue
in lontananza.
Attesi sotto la pioggia,
finché non intravidi nella nebbia
un uomo: mio Padre.
Brancolava: era cieco.
Ma come, mio Dio?
Lo trascinai con me,
lo cullai come un bimbo,
com’egli nei terrori dell’infanzia
mi aveva cullato.
E s’assopì nel sonno,
per sognare – oh, dono di Dio! –
il sole che gioca ancora col mare.



Suono di campane.
Così vicino era Paduli,
che se io salendo
avessi steso la mano,
fra sassi e polvericcio
avrei potuto toccarlo.
Una gioia trionfante mi prese alla gola:
sentivo di lontano 
le campane di Pasqua.
E fui nel borgo
Già prima di entrarvi,
e ancora moa madre
mi conduceva per mano
ad ammirare fra gli incensi
il Cristo risorto
in una festa di biancospini.
Mi scaldava la mano di Mamma,
mi carezzava il fiato di aprile:
così entravo a Paduli,
prima di entrarvi.



Desiderio appagato.
Mi dico: “Eccoti, infine,
nella bramata campagna,
sotto l’ombra d’un folto pergolato.
Canta, poeta, stringi fra le braccia
Il mondo intero: intona
anche l’inno dell’amore”.
Taccio: di dentro solo
Un’eco di sorriso:
l’attimo della gioia
è spesso senza canto.



Meditazione.
Tra un punto di cucito ed una rima
passo la vita, indifferente al mondo:
chi mi sa leggere dentro,
chi può vedermi nel cuore?
E qui, mentre la brezza
mi porta effluvi tetri di sobborgo,
medito: un tempo anch’io
respirai la purezza
d’un cielo ubriaco di verde,
fra gli ulivi di lontane colline.
Ero fanciullo, allora,
né ancora la vita mi aveva deluso,
mettendomi un ago fra le mani.
Ma con nel cuore un poco
Di poesia sognante,
anche l’ago si dilegua talvolta,
l’ago amaro destino di vita.



Chi sei?
Sei venuta sulla mia strada
E ti sei messa al mio fianco.
Qualcuno lungo il cammino
Ha sussurrato: “E’ un angelo”.
Ed io ho scosso il capo:
chi tu sia non so,
ma non sei certo un angelo:
l’angelo non accende desideri,
ed io, sappilo, attendo
la prima svolta a ponente,
sì, attendo, quella svolta,
per dirti ciò che nessuna
ha mai pensato d’un angelo.


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Data di pubblicazione 29/1/2001
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