Raccolta poesie di:

Francesco ForgioneBiografia


Indice della raccolta:


Sapevo tutto. Penna blu. Lasciamo perdere.
Che giorno è. Conclusione. Coraggio.
Pensiero felice. Muri rosa. Il punto.
Una scusa. Walzer scordato. Il tuo amore.
Marsina stretta. Zingara. Sento.

 

Sapevo tutto.

Abbiamo visto cadere le piume ai gabbiani,
mentre la notte piano piano rientrava in scena.
Presi la tua mano giusto in tempo per sussurrarti
qualcosa di reale.
La scena si ripete,
non lasciando niente di indefinito,
quattro pareti e un muro colorato a tempera. 
Il divano nero, fermo, muto...
La musica cerca di prendere la mia anima per le mani,
ride lasciandomi cadere. 
E tu non hai più parole da regalarmi,
parole che sapevano di sale. 

L’estate sta passando, lenta, calda, 
ma non è la solita estate. 
Avevamo odori per ricordarci, 
avevamo tramonti per sognare.
Adesso non ci guardiamo neanche più,
ho scordato la tua voce e il suono della tua risata.
Cinque ore regalateci dal destino,
cinque ore per dirsi una vita.
Contavo le mattonelle che ci separavano 
senza guardare i tuoi occhi.

Mi stringevi e io non respiravo, 
mi nascondevo per paura 
di perdere ogni attimo. 
Il tuo sorriso, il tuo dolce piegare le labbra,
potrei chiudere gli occhi e rivederlo cento volte. 
Il tuo braccio mi stringeva, e il mondo si fermava,
la mia mente immaginava solo fiori.
Potrei coglierne uno per te,
potrei attaccarlo al tuo cuore, potrei morire. 
Le vie del centro sono troppo piccole 
per gridarci la mia tristezza. 
Vedo i tuoi capelli muoversi,
ondulare come un ruscello sul suo letto. 
E il tuo sguardo mi tiene il viso, 
le tue parole non hanno rumore,
ma solo un dolce suono. 
Sapevo a cosa andavo incontro? 
Sapevo che il mio angelo mi avrebbe rapito per sempre?
E adesso sono ai piedi del letto che ricordo quel giorno,
cinque ore di vita,
cinque ore incatenato ai tuoi occhi.
Rimani solo un nome scritto a penna da qualche parte, 
uno scarabocchio nella mia mente. 
Mi tenesti la mano, stringendola,
e io non potevo guardarti per non piangere. 
Il suono del mare mi tiene lontano, vorrei scappare,
ma non saprei darti niente. 

Potrei offrirti solo il mio cuore, 
potrei dirti per sempre, 
quando non so cosa sarò domani. 
Nelle mani mi rimangono cinque ore, 
cinque ore passate nel silenzio di uno sguardo,
con il respiro della voce.
Adesso guardo la mia stanza, 
cercando di trovare un senso a tutto.
Cercando di capire come sono finito qui,
sapendo in segreto che non voglio.
Nascondendo a me stesso 
che  volare sarebbe la cosa migliore da fare. 
Ingoierò tutto, sapendo che forse è la cosa giusta da fare.
Correrò per cercarti,
o solo per scappare via di qua, 
trattenendo nei denti il tuo nome 
per gridarlo al mondo.





Penna blu.
Sono stufo della solita quotidianità
di questo palcoscenico.
Tu non sapevi decidere, io,
io stavo li in silenzio,
ridendo nei tuoi occhi grandi.
Erano parole,
parole che potevano cambiarci,
che potevano fermare la notte.

Non ti fidavi di me
del mio modo disordinato 
di stare in piedi.
Il tuo amore mi ha tolto l’ultimo respiro,
l’ultima lacrima regalata al vento. 
Aspettavo,
non dormendo di notte
e non vivendo di giorno. 
Aspettavo una tua parola
che non ho mai sentito. 
Mi stringevi parlando
del tuo amore,
ma le parole mi soffocavano,
mi rimbalzavano in testa,
mi scivolavano tra le dita.
Avevo bisogno di te,
del tuo profumo, 
dei tuoi capelli,
e adesso mi rimane solo una penna blu.
Mi aspettavi,
mostrando il tuo corpo, 
e io ero un bambino felice come a Natale.
Ricordo di come mi guardavi, 
di come mi toccavi,
e ricordo del dolore che provavo
chiudendomi la porta di casa alle spalle,
sapendo che poteva essere l’ultima volta.
Ma l’estate si sà fa questi scherzi.
Non doveva essere niente, e invece...
Un piccolo sogno,
regalato per sbaglio 
e durato troppo poco per essere vero.
Giravo per le vie 
cercandoti in ogni donna,
sperando di incontrarti in qualche angolo,
con il cuore in gola per l’emozione. 
Delle volte ti vedevo, 
e me ne restavo nascosto
per spiare ogni tuo movimento,
ogni tuo sorriso che regalavi senza avidità.
Piove, un acquazzone passeggero.
Arriva bagna qualcuno e se ne va. 
Non ti dà neanche il tempo di capire la verità. 
Ti domandavi il motivo per il quale non ci fossimo incontrati prima, 
e io non avevo una risposta pronta da darti.
La cerco ancora leggendo nelle pagine vuote di un libro. 
Avevi paura di me, 
avevi paura del tuo amore, 
nascondendolo dentro di te
per cercare di dimenticarlo.
E oggi di te non ho niente, 
solo un vago ricordo della tua voce.
 Provo a ricordare,
ma quell’emozione era una cosa sola con il mio respiro. 
La penna blu l’ho persa,
e con lei il tuo sorriso. 

L’estate non è poi così lunga come pensavo,
è volata 
sopra le ali di un amore impossibile, 
diventato palpabile per qualche ora e invisibile
per sempre. 
Ogni tanto nella mia mente ti incontro, 
felice e sorridente come quando mi vedevi,
ma la noia del tempo 
che passa mi ha reso infelice 
troppo a lungo per pensare 
che eri vera.




Lasciamo perdere.
Il leggero calare della luce
può dire molte cose
ad un giorno che sembra passare
in silenzio. 
Leggo articoli sul giornale,
cercando i trafiletti
che non vogliono dire
nulla.
Stanno lì
solo per riempire pagine vuote,
scritte da chi 
voleva fare qualcos’altro 
nella vita.
Sempre a chiedersi
se la scelta è giusta,
sempre con il dubbio 
di aver sbagliato ancora una volta.
Non riesco a capire la gente, 
non è che mi sforzo tanto
a dire il vero, anzi. 
Non hanno la misura delle cose,
non capiscono 
che il fatto per il quale loro pensano 
in un certo modo in effetti sia proprio quello giusto.
Li farei venire sul mio prato, 
dove il sole non tanto caldo 
e il cielo e troppo alto
per criticarlo. 
Dove c’è la libertà 
di decidere per se stessi,
senza decidere per gli altri.

Nessuno direbbe la cosa giusta,
e nessuna cosa sarebbe sbagliata. 
Guardando il giorno e la notte 
come se fossero le uniche cose al mondo. 
Senza il bisogno di parlare,
di socializzare ad ogni costo.
Vivere ogni attimo,
minuto per minuto 
guardando una farfalla che vola.
Correre veloci senza fermarsi
per poi buttarsi in terra
rotolando nell’erba fresca. 
Guardare negli occhi una donna 
vedendo che il mondo sta tutto li.
Morendo ad ogni suo gesto, 
ad ogni parola.
E poi, risvegliarsi nella nostra esistenza, 
masticando odio, 
e rabbia per un destino duro da cambiare. 

Vedendo la vita fuggire 
dal finestrino delle macchine 
mentre siamo fermi ad un semaforo.
Vedere la tristezza nelle mani di un anziano,
tristezza nell’essere abbandonato 
su una panchina di qualche parco
che neanche esiste.
Eppure eccoli fieri nelle loro divise,
pronti a sputare su chi è diverso. 
Pronti a giudicare come unica fonte del vero.
Come se dalle loro bocche uscisse solo la verità divina.
Sono troppo stanco per continuare,
troppo nauseato per distruggere i loro ideali. 
Pensare che eravamo fratelli, figli dello stesso
dolore, ma l’animale si è evoluto.
Nel mio prato c’è poca gente, il sole li scalda e li culla. 
Il fresco degli alberi li rasserena, 
e non si parla se proprio non si deve.
Domani li rivedrò, indaffarati, 
camminare per le strade. 
Non badando a niente che a loro stessi.
Concentrati nella distruzione, 
consapevoli delle loro azioni.
Aspetterò, paziente nell’ombra, 
e riderò sopra le loro tombe vuote…




Che giorno è.
I giorni passano così, uno dietro l’altro, in un’ordinata fila interminabile.
Settimane, mesi, si confondono al ritmo frenetico di un suono stonato.
Parlerei se soffrissi di più, mangerei il vento per passare la notte tranquilla.
La sera mi aspetta dietro l’angolo per uccidere il giorno mascherato da 
tramonto spento. 
La mia mano prende una penna, allungandosi in una virgola infinita.
Cerco con lo sguardo un viale immaginario, una piccola piazza con la 
fontana al centro. La gente del paese che parla in circolo del tempo, la
campagna infuocata dal sole di maggio.
Salto di giorno in giorno sperando che la sera non mi colga di sorpresa
con i suoi toni spenti. 
Vagherò con i miei pensieri nella testa e una domanda sulle labbra.
Mi butterò nel buco più profondo della vita toccando il fondo appena
un attimo cercando di non abituarmi al silenzio, cercando di non sporcare,
facendo poco rumore.
Ruberò il destino alla mia sorte a patto che non mi veda in viso.
Le mie tasche sono piene di speranze per qualcosa che è fermo li dentro
da anni. 
Che giorno è oggi, 
Vedo le foglie scendere da un albero una alla volta, 
si buttano ignorando dove andranno a finire. Il vento le porta a spasso
per poi lasciarle scivolare in qualche angolo immobile del mondo.
Devo trovare una soluzione a questo problema, devo trovare almeno una
risposta a tutte le mie domande. 
Una donna ai bordi della strada mi vuole leggere il futuro. Mi chiama,
mi avvicino, la vedo, nascosta nei suoi capelli scuri e morbidi. Non parla
bene la mia lingua, mi prende la mano, legge.
Mi guarda con occhi preoccupati, mi appiccico un sorriso di carta e la saluto,
lei mi ferma tenendomi un braccio, sorride, tira fuori dal nulla un piccolo
quadro,  un cielo buio pieno di piccole stelle e una luna solitaria. 
Lei le stelle, io la luna.



Conclusione.
Giorni dedicati ad ascoltare una farfalla piangere.
Ho la gola secca per le poche parole che le sono rimaste attaccate.
Mi perdo sempre quando un tramonto mi si spegne davanti senza chiedere il
permesso a nessuno.
Rincorro un sogno fino al punto di non sentire niente, quello che mi circonda
finisce nell’ombra di un cassetto aperto a metà. Dio mi guarda con diffidenza
cercando di capire chi sono ma non so che dirgli, lo saluto senza pensarci troppo.
La mia attenzione si posa su di un petalo che vola trasportato da un lieve soffio,
e lui, non mi guarda nemmeno.
Sono un umano e degno di disprezzo, lui a cose più importanti da fare.
Passerò l’estate su questo burrone, tra la vita e il dubbio di volare, ammirando 
il sole caldo spargere i suoi raggi senza preferenze, ascoltando le grida di bimbi
intenti a fare castelli di sabbia che un’onda cattiva distruggerà senza pietà.
Abbaio la mia tristezza ad una foglia morta, discuto ancora con Dio sul da farsi umano. Getto le mie speranze e mi avvio verso casa.
Dimentico la strada ogni volta quando non voglio tornare. Guardo un vecchio circondato dal suo sorriso che racconta a qualcuno qualcosa, mi guarda, mi spia,
quasi di nascosto.
Vorrebbe rivolgermi la parola, non accetto, meglio per lui.
Sorreggo la vita per i fianchi, lasciandola scivolare ogni tanto per stanchezza,
verso da bere a tutti e alla salute.
Allungo la mano tastando il polso al mio nemico, io lo so di che pasta è fatto ma lui non mi conosce bene. Non ricordo perché, non ricordo il motivo della malinconia della vita, giro come un piccolo vortice nell’oceano.
Senza ridere conto le mie mille facce  non riuscendo a rubarne neanche una.
Il mare mi bagna i piedi, è calmo, immenso e suona sempre la stessa dolce musica.
Domani ritornerò sul mio prato,
se mi è permesso domani ruberò ancora la vita, 
se mi è permesso, domani...
mancherò all’appello. 



Coraggio.
Ricordo il tuo lieve sorriso,
avrei voluto darti risposte,
ma nessuna parola poteva giustificare il silenzio. 
La mia parte buia si sbiadisce piano piano, 
lasciandomi dispiaciuto, mortificato, ferito.
Guardo il cielo per nascondere i miei veri pensieri,
guardo il cielo per non guardare alle mie spalle.
Vivo ridendo della vita e di me stesso, 
non sapendo che è la vita che vuole questo,
gioca con me dettando le regole.

Non riesco a vedere il tuo viso,
coperto dai tuoi capelli scuri, 
tento di capire, ma non posso chiedere a qualcuno 
se sa volare solo per gioco.
Devo trovare una scusa giusta per giustificarmi,
devo trovare qualcuno che mi ascolti prima che arrivi la sera.
Il mio vicino è un signore calvo, anche lui ride della vita, 
ma lui ne ha motivo. 
Vive a riposo, si è preso tempo, 
si è dato tempo. 
Era stufo del suo fagotello, era stufo di non vedere mai la fine.
Mi amavi, ti amavo, e tutto qui.
Non si può dimenticare il cielo di quella sera, 
l'aria profumata della primavera.
Mi rubasti l’anima lasciandomi vagabondare dentro me stesso
senza chiedermi se era giusto.

Dimenticai tutto, 
la mia vita venne cancellata per uno sguardo, per un viso.
E alla fine non rimane nulla, solo parole sparse per terra,
senza nessun motivo. 
Sono solo parole morte senza vita 
se non c'è nessuno che le pronuncia con verità.
Cerco di ricostruire il mio mosaico,
ma crolla ad ogni tuo movimento.
Il tramonto fa sembrare tuffo accettabile,
nasconde la verità dietro il riflesso del sole.
Da quanto è che non vedo il tramonto, 
da quanto non vedo il sole spegnersi nel mare, 
aspettando e tirando la luna per le mani.
Vorrei fare una passeggiata su quel vecchio promontorio,
vedere l'infinità del mare, 
che ad ogni onda si ritira per poi ritornare.
I pensieri mi assalgono confusi, arruffati uno su l'altro.
Penso ai giorni passati sulla spiaggia,
alle parole dette in una giornata calda d’agosto, 
alle promesse di solenne amicizia, 
ai fiori lasciati con un biglietto sulle sdraio.
Ti rivedo e non sei più tu, ti rivedo ma non ti riconosco.
Tempo fa sapevo dare un calcio a tutto questo,
ma oggi non ho difese, 
non ho l'aria di chi cambia le cose.
Verga mi ricorda con Malavoglia 
che per quanto ti sforzi di cambiare le cose
alla fine torni sempre allo stesso punto.
Avessi avuto solo il coraggio di mollare tutto,
di vivere un'altra vita, di vestire panni non miei.
Chi sarei stato? Dove sarei andato? 
Guardo le nuvole desiderando d’essere libero, 
guardo le nuvole e mi sento triste. 
Rimarrò nell'anonimato delle cose, 
aspettando il momento buono per sorridere.
La delusione del fallimento potrebbe ancora nuocermi, 
ma in fondo cosa cambia. 
Non ricordo più il tuo viso,
la tua voce, i tuoi movimenti, le mie parole. 
Devo riconquistare la libertà 
per cui ho tanto lottato, devo tornare libero. 
Devo riuscirci anche se so che sono diventato debole per farlo,
riuscire a rinunciare è questo il segreto.
Riuscire a rinunciare a tutto per la libertà è questo il segreto.




Pensiero felice.
Le nuvole mai sciolte mi si aprono
sotto un immenso sorriso viola.
Siamo passati di moda, 
siamo un saldo di fine stagione 
adagiato sopra un manichino calvo.
Eppure il fiume continua a scorrere.
Scivolando dietro la schiena della terra arida e triste.
Chiudo gli occhi  toccando l’aria fredda,
rimanendo sospeso sul filo perpetuo.
La gabbia mi tiene stretto, 
impedendomi di vedere la collina.
Il mese dei fiori ruggisce dietro all’asfalto bagnato 
da lacrime innocenti.
Ma tanto la storia si conosce,
si ripete irrimediabilmente,
un lento susseguirsi di cose inevitabili.
Ci illudiamo di essere qualcosa di diverso,
guardando la gente dall’alto dei loro cappotti neri.
Ma lo specchio questa mattina a smesso di mentirmi,
mi restituisce una figura sbiadita, stanca. 
L’attore è uscito di scena, 
si leva il trucco con cura,
cercando di non piangere.
L’amore ci sfugge dentro una lettera mai letta,
in una telefonata mai arrivata. 
Quante volte avrei voluto fermare gli sguardi,
quante volte avrei voluto vedere una donna sorridere.
Continuiamo a camminare, facendoci troppe domande sul domani,
regalando sorrisi finti a chi ci scivola a fianco. 
Maledire questi anni non serve a tanto,
viverli camminando al bordo questo è il segreto, confondersi.

Cerco nella mia mente un pensiero felice,
trovo sempre un viso bambino, 
una piccola persona incosciente 
che riesce ancora a ridere della vita. 
Ma non riesco a sopportare, 
la nullità delle parole, il silenzio di una frase. 
Qui i consigli sono gratis, 
vengono sparsi come polline da fecondare. 
Le foglie si stendono lungo il piccolo passaggio, 
proverò ad evitare le gocce della pioggia.
Le luci dei lampioni si fanno più intense,
rompendo la monotonia della vita,
illuminando quello che ci è stato nascosto dal giorno.
Nascere liberi è questione di tempo, 
arriveranno a te prima o poi,
arriveranno rovesciandoti a dosso  regole e comportamenti conformi. 
Ti diranno cosa fare,
che mangiare,
che vedere, 
di che parlare…
Fino al punto che troverai rifugio nella scatola nera,
e allora la tua mente sarà  pianificata a tavolino. 
La coscienza è una cosa grave, una cosa da temere. 
Le stelle levano un po’ di tristezza nel buio infinito del cielo, 
calmando apparentemente il veloce scorrere del tempo. 
Immersi nel pensiero triste 
ce ne stiamo avvolti in coperte ricamate a mano.
Stringendoci, regalandoci sogni da comprare in piccoli bazar. 
Seguendo le orme di qualcuno che si è perso,
convinti che lui sapeva la strada. 
Ma la notte è lunga per poter pensare
di cambiare qualcosa, 
la notte è lunga per decidere
di rimanere da soli...




Muri rosa.
Le gocce amare mi  rendono impossibile
la vista del mare. 
Il delirio di questa notte 
potrebbe portarmi lontano. 
Mi trascino cercando il motivo
della lotta quotidiana,
il varcare la giungla senza poter più tornare.
Ho lasciato un sorriso 
appeso al  muro della mia camera,
guardando un quadro senza soggetto 
e senza storia da dire.
Il chiodo lo regge, 
stanco, lo tiene su come per cortesia.
Quasi d’accordo, 
un giorno qualunque cesseranno, 
lasciandosi andare 
per cadere senza fine.
Malgrado tutto potrei continuare
a guardare fuori,
chiudendo le tende per non essere visto.
Potrei innamorarmi di te se solo sapessi il tuo nome. 
E tu sorridi, dicendomi qualcosa che non capisco e non mi interessa.
Le tue labbra, i tuoi occhi, 
mantengono intatto l’universo, 
mantengono la terra e il mare.
Il vento mi ricorda che non è facile volare,
rimanendo sospeso sul tuo viso. 
Ma sei un attimo, qualcosa che passa rapidamente,
letta per caso in una fermata di qualche treno. 
Guardo i miei piedi salire sul mondo, 
calpestando le certezze e le parole volate troppo in fretta.
Vi vedo insieme camminare in fila, 
piccole formiche senza pensiero. 
Mi tuffo in parole senza senso, 
delirando la libertà dalla vita che mi abbraccia.
Salgo i gradini più alti del palazzo, 
cercando di non destare sospetti nella mia posa stanca. 
Cerco la verità di questo secolo, 
vagando senza meta,
mordendo le verità che voi mi offrite.
Volevo dire tante cose, volevo fare tante cose, 
ma non posso più mentire a me stesso
nascondendomi nella mano 
l’unica cosa che per me conta.
Sono solo, e solo rimango 
chiuso dentro il mio angolo. 
Non alzo la voce, imparerò a distinguervi da lontano, 
per non incontrare la vostra smorfia di odio. 
Il sole toglie il buio alle cose, 
le tocca e le illumina di vita. 
Penserai di essere felice oggi. 
Pensi ai vestiti da indossare per uscire.
Ma è un pensiero la verità è ben altra cosa. 
Il signore dei fiori ride, lasciando vedere il suo buon viso. 
Strilla la bellezza, ondeggia come un fruscello al vento.
E di questo rimane una foto appesa al muro. 
Delle facce sorridenti
in qualche giorno di gioventù, 
uno di quei giorni di inconsapevolezza 
di essere così fragili.
Quando correvi verso qualcosa di inarrivabile, 
ma che ti hanno fatto trovare una mattina. 
Fino a ieri correvi e oggi sai tutto. 
Oggi sai che non sei più invincibile, 
ma un piccolo nulla in mezzo a milioni di comparse. 
Non c’è un giorno preciso per saperlo, 
accade e questo e tutto. 
Succede come succedono tante cose inspiegabili,
inspiegabili  come il dolore. 
Soffio sul giorno per smorzarlo,
desiderando una notte dolce 
per poter correre felice di nuovo.
Vorrei incontrare l’uomo più furbo del mondo, 
vorrei sapere come fa, 
come dipinge i muri di rosa 
senza vedere il sole sorgere. 



Il punto.
Il vento della desolazione 
porta silenzi sulle bocche 
stanche di ridere.
Macchine gialle si allontanano 
tagliando il silenzio freddo 
di un giorno d’inverno. 
L’uomo del Bar pulisce la sua vetrina opaca,
sperando in qualcosa di migliore da masticare oggi.
Il giornale si sussegue
in piccoli trafiletti tristi, orrendi,
seminando cadaveri in prima pagina.
Qualcosa di migliore si potrebbe trovare,
forse sulle pagine gialle, 
o nelle tele vendite.
Solo immagini nello specchio rivoltato, 
solo poveri illusi deliranti la loro forza.
E Dio ci guarda, 
guarda e tace, 
senza versare un velo nero 
sulle teste del suo fallimento. 
Il lato della strada è libero, 
cammino senza guardare nessuno, 
mi limito a seguire i mie passi.
Partecipo all’asta della verità, 
non rilanciando forte quando è il momento,
la signora 23 vince, lei vince sempre. 
E adesso sono qui, e il mare non sembra così lontano.
La spiaggia resta sola, aspettando qualche gabbiano
che le farà compagnia.
Il tuo viso mi sembra troppo lontano 
per parlargli della luna. 
I tuoi capelli, i tuoi occhi,
e il leggero vento che ci accarezza 
sembra tutto qui.
Resterò in inverno,
per vedere il punto,
per vedere dove la spiaggia sposa il mare,
ritirandosi con dolce tocco. 
Vorrei sapere il tono della tua voce, 
vorrei sentire le parole uscirti 
dalle labbra mordendo il mio viso. 
Vorrei toccare la tua pelle, 
asciugandomi le lacrime per l’emozione. 
Il sole sorge senza di te, regalandomi una foto
che non sembra tua. 
Il senso delle cose 
si  perde sul comodino,
si scioglie, non lasciando traccia dell’incubo notturno. 
Immagino i tuoi capelli,
immagino il loro profumo nelle mie mani.
Tutto è al suo posto, cielo, mare, terra, 
li seguo con distaccato interesse,
lasciando vedere il mio stato d’animo. 
Lascio cadere le cose, 
guardando i fatti in faccia e le certezze nel cuore. 
E la verità? 
L’unica cosa che conta 
e che tu non sei qui a tenermi le mani.
La poesia mi è lontana, 
una lontananza fatta di sussurri e solitudine. 
Senza alberi ne tramonti da descrivere. 
Senza rumore il giorno 
si affaccia in avanti, senza clamori ne urla. 
Ogni piccola persona è pronta, 
si prepara per la vita,
ognuno con un compito
preciso nella grande ruota. 
Il rumore del respiro della notte 
potrebbe cambiare il giorno 
se solo volesse, regalando sogni,
saliti in scena troppo presto per essere capiti.
Ai piedi della scala aspetto una voce, 
un sussurro che mi sveli il motivo. 
Un segreto nascosto e mai rivelato 
che apre le porte del giorno 
per socchiuderle nella calma sera. 
Ma le parole mai dette
non contano e i gesti servono poco 
quando a parlare sono i tuoi occhi. 
Forse domani sfiorerò le tue labbra, 
cercando un posto nel tuo viso, 
un morbido angolo per vivere. 
Vorrei sentirti pronunciare 
il mio nome sottovoce, 
lasciando cadere le parole
su di un morbido cuscino. 
Aspettando il tempo in cui 
potrò incontrare il tuo sguardo, 
potendo chiamarti per nome 
vedrò i tuoi capelli muoversi verso di me.



Una scusa.
Non hai lasciato una scusa sulla porta. 
Non mi hai chiesto perdono
lasciandomi con le mani ferme. 
Il mare sembra tradire i miei pensieri,
se ne va, giocando con un gabbiano 
fermo tra gli spruzzi.
Non avevo una parola da regalarti,
non avevo un sorriso per mascherare 
la mia tristezza. 
Mi limitavo ad ascoltare, 
cercando di farti pesare meno le parole. 
Mi chiedesti di come facevo 
a rimanere impassibile, 
non accorgendoti che stavo morendo.
Tu piangevi e ti chiedevi perché, 
io cercavo la risposta sulla riva, 
tra la sabbia umida e quella asciutta. 
Ma infondo cosa si può fare.
L’amore non si può scegliere, 
viene regalato. 
Basta qualcosa, un sorriso, 
una fossetta sul viso, 
il modo di parlare. 
E’ una cosa che non ha tempo.
Potrei rimanere qui, 
seduto su queste colline 
senza dire niente alla mia anima. 
La disperazione della vita 
mi costringe ogni giorno a voltare  pagina.
Cerco di attaccarmi a qualche pensiero felice, 
cerco disperatamente un sorriso di un bambino.
Tu piangi, il silenzio accompagna la tua lacrima. 
Non posso più confondermi, 
ormai siamo rimasti soli.
Il tuo pianto il mio silenzio. 
Chiesi consiglio a qualcuno, 
mostrando attenzione per convincermi del certo. 
Sapevo che sarebbe cambiato tutto,
sapevo che non si può volare senza ali.
Non potevo guardarti,
cercando già di scordare il tuo viso, 
il tuo sorriso, il tuo respiro, la tua voce. 
Sapevo senza dirteli i tuoi pensieri.
E ora il silenzio della mia camera 
non mi fa più paura, ascolto un libro piangere,
trovando la calma ad ogni pagina. 
L’inverno sta per iniziare, 
fatelo entrare e ascoltate i suoi sussurri.
La spiaggia è deserta, nessun rumore,
nessun passante, 
solo qualche gabbiano che cerca i miei perché
nella sabbia umida. 
Adesso c’è il sole ma io sono triste, 
vorrei tuffarmi nelle onde, 
nuotare fino a raggiungere il tramonto. 
Vorrei spengere il tuo sorriso in questa notte silenziosa, 
avendo le stelle come testimoni del mio amore. 
Ogni tanto i tuoi occhi mi guardano, 
restando quasi dolenti sul mio viso
che un tempo era il tuo. 
Restano fermi sul mio modo di fare, 
di muovere l’aria intorno a me. 
Avrei potuto chiamarti, portarti dei fiori,
ma non sono più io a decidere.
Calmo guardo un quadro 
e rimango affascinato dalle sue forme,
dai suoi colori. 
Invidio l’eternità del suo essere attaccato ad un muro.
Una ragazza da lontano gioca con il suo cane. 
Muove i capelli lasciandoli in balia del vento. 
Tre passi sembrano un’eternità. 
Tre passi sembrano non arrivare. 
Il cane mi porta un bastone, 
mi guarda aspettando da me qualcosa.
Lo guardo, lei sorride togliendo il sole
dal cielo e il mare dalla terra. 
Mischiando tutto al suo dolce profumo. 
La guardo. 
I suoi occhi cancellano il mio nome dalla sabbia 
e i miei occhi dai tuoi. 
Non parlare, non dire chi sei, 
non rompere il pentagramma di note perfette. 
Aspetta che guardi i tuoi capelli, il tuo viso,
che senta la tua voce. 
Aspetta che tocchi le tue mani per vedere se esisti.
Ci sedemmo
sulla sabbia guardando il sole,
guardando le nuvole fuggire dal vento. 
Baciai le tue labbra, tu baciasti le mie. 
Lasciai cadere una lacrima, mi sorridesti
e io ripresi a respirare.



Walzer scordato.
Nella strada l’aria è fredda. 
Il silenzio detta le sue leggi 
ad un gatto che graffia
la monotonia dei palazzi.
Un uomo guarda dalla finestra 
il lento appassire delle rose, 
aspettando che le farfalle
cambino pelle senza dare 
troppo nell’occhio.
La vita scorre senza
dargli un cenno d’intesa, 
senza coinvolgerlo 
nel continuo movimento delle cose. 
Prepara gli scatoloni della sua vecchiaia, 
cercando di non dimenticare nulla.
Ogni foto, ogni ricordo, 
ogni istante impalpabile della sua vita. 
Potrebbero tornargli utili, potrebbe, 
fra qualche anno cercare nella nebbia 
dei pensieri scegliendo il modo 
meno grave di rimanere al mondo. 
La  poltrona lo abbraccia tenendolo stretto,
lasciando le frasi sparse nel vento
di un giorno qualunque. 
Lasciando le ali chiuse, 
non pronunciando nomi ad alta voce.
Si potrebbe dire di stare bene, 
con il suo taglio di capelli e la  bocca piegata. 
Mentre mente a se stesso e
alla polvere del suo armadio. 
Cerca frasi da dire al momento 
della partenza, 
cerca un abito migliore 
per sembrare meno cupo,
per guardare indietro 
senza temere l’ombra dello specchio. 
La clessidra colma  le ore di sabbia,
cercando uno spiraglio dietro 
una tendina calata male. 
Rimane il silenzio, 
il silenzio di una vecchiaia piegata in due
in un cassetto, 
di una solitudine sorda, immobile. 
Le pantofole raccontano 
qualcosa di triste ad un ritratto, 
mentre la stanza gira su se stessa 
aiutata da un lento walzer scordato. 
Un pianoforte regala note dolci, 
note, insiemi di suoni, e il mondo
sembra non avere fine,
tutto racchiuso in quella stanza, 
con le foglie secche a fare di contorno 
al giorno che scappa. 
Finire di inseguire un sogno, 
lasciarlo andare senza rincorrere 
la monotonia delle parole.
Se solo ci fosse qualcuno che sapesse  ascoltare,
se solo potesse rendere eterne le sue storie. 
Dare l’immortalità della sua vita, 
un filo invisibile vicino all’orlo del mare. 
Gli uccelli si affollano sul ramo, 
cercando di rubare tempo alla notte. 
La vita dall’alto non li sfiora,
lasciandoli liberi del proprio destino. 
Una donna dentro una foto 
sembra ricordare che la vita era bella. 
Sembra dirgli che forse una volta 
valeva vivere sorridendo. 
Ferma in una posa rimane in silenzio
guardando dal vetro 
che la copre.
Resistere al tempo, 
cercare di fondersi 
con l’eternità delle parole. 
Sforzarsi di credere in qualcosa di migliore,
sperando che il mondo non abbia confini,
ma solo piccoli muri da saltare in corsa. 
Gli anni stampati sul volto, 
lasciando segnata l’anima 
che non riesce più a ricordare ieri.
Infine rimane solo una scritta nera, 
intarsiata in bella grafia nel marmo bianco, 
coperta da fiori che appassiranno 
inevitabilmente come i ricordi della gente. 



Il tuo amore.
Mi affaccio dalla mia finestra,
e le cose rimangono ferme, 
si sorreggono una con l’altra.
Rivedo il tuo viso in ogni cosa che si muove,
sento le tue risa in ogni cosa che fa rumore.
Ma il vento spazzerà il tuo nome 
lasciando un punto verso il silenzio.
Non resta più niente di timide parole
dette in silenzio.
Non resta più niente 
del mio sguardo nei tuoi occhi 
e delle promesse strette per mano. 
Parlo alla notte chiedendogli di te, 
faccio finta di dargli poco interesse,
ma tanto so che prendo in giro solo me stesso. 
Il tuo amore mi ha segnato, scolpito come un nome nel legno.
Volavo sul mare e sulla gente 
non domandandomi mai il mio nome. 
Ogni minuto era una perla preziosa
che tu mi regalavi. 
Il silenzio del mare mi bagna i piedi, e il tuo
ricordo mi bagna gli occhi. 
Ti vendo, e il mondo si ferma, 
ti vedo e non sento le grida dell’estate.
Il mare resta fermo, specchiando il sole nel cielo azzurro, 
guardo la spiaggia che un tempo ci scaldava. 
Non rimane niente ormai di noi,
se non i nostri nomi, i nostri sguardi.
E il tempo ritornerà che sentirò l’estate ridere, 
aspettando ogni giorno come se fosse il primo.
Aspettando di vederti, saperti li, vicino a me.
Rimetterò i ricordi apposto, 
aspettando il momento migliore per parlarti di noi.
Ma non c’è nulla che ricordi quel sole di Maggio. 
Io annegato nei tuoi occhi e tu che mi guardavi salirti vicino. 
Mi stringevi, ed era tutto quello che volevo in quel momento.
E nessun tramonto poteva dire di essere bello,
nessuna notte poteva coccolare il sole
senza lasciar cadere le parole dalla mia bocca triste. 
Ma si impara, il silenzio gira lo sguardo su di me, 
ricordandomi di essere una immagine nello specchio. 
Adesso dimentico le parole dette sotto voce, 
il vento caldo che spettinava il mio volere
e il tuo profumo. 
Penso a mille cose, cercando un motivo 
che giustifichi la mia tristezza. 
La pioggia cade leggera,
accompagnando le nuvole verso Est, 
tu mi prendevi la mano, ed ero l’unico. 
Ti ho detto mille volte ti amo, 
facendo cadere le parole 
sul pavimento duro d’indifferenza. 
I fiori del tuo giardino non mi appartengono
più così come il tuo sorriso,
 ho cercando d’infrangere la barriera,
e mi sono risvegliato troppo stanco
per capire le tue mosse.
Le nostre strade si sono fermate un giorno qualunque, 
si sono divise quasi per gioco per non rincontrarsi.
Potevamo fermare il mondo, ma è lui che ci ha fermato.



Marsina stretta.
Sento di essere arrivato tardi
per partecipare felice a questa festa.
L’aria si fa scura, 
indugiando sul tramonto felice
di essere lì anche per oggi. 
Il silenzio della mia camera sa di polvere,
intorno il muro bianco fermo nei suoi angoli.
Ho paura, vorrei essere solo, 
vorrei vedere un prato verde e un albero. 
Non riesco proprio a convivere con la mia ombra, 
oppressa della figure immobili dell’armadio.
Sotto il mio cielo silenzioso
ci sono solo poche stelle
e non hanno bisogno di dire nulla. 
Potrei guardare per ore una foglia
cambiare lo stato rassegnato delle cose. 
Ascoltando un acquazzone estivo
potrei imparare a ridere di tutto
pensando di lasciare le vele spiegate
per far ridere i gabbiani. 
Il freddo dell’inverno 
porta la tristezza nella maniglia
della mia porta.
Resta rassegnato dietro un sorriso
mai espresso, dietro un saluto mai dato.
Lasciatemi sorridere, 
lasciati amare per le cose che io non posso essere.
Lasciati guardare per far venire presto la notte
che mi nasconda dal tuo abbraccio.
Vorrei vedere se il giorno tocca la luna per un minuto, 
un semplice passare di secondi 
che porti via le ombre da i miei quadri. 
Fermi e statici, foto sbagliate di vite passate, 
testimoni muti di innumerevoli stagioni. 
Sento di non potermi capire a fondo, 
capire i miei silenzi,
prendermi per mano e volare, 
rimettendo in ordine i fogli sparsi
dei momenti passati a guardare dalla finestra.
Marsina stretta è il collo della vita 
che cerca di soffocarmi, 
leggendo gli articoli sul giornale
mentre un altro giorno passa 
senza disturbare nessuno. 
La differenza della pelle pesa sempre di più
sulle nostre deboli spalle,
cercando di cambiare la storia, 
cercando un nuovo modo di presentare l’uomo a Dio, 
senza peccati su la coscienza. 
Senza vergogna per aver affondato un altro figlio, 
con la scusa della religione che giustifica 
l’odio nello stomaco. 
La mancata occasione nella vita regala morte
a chi ci sta intorno, che, forse, 
la sua occasione non l’ha mai avuta.
Cadere e rialzarsi ogni giorno, 
come se fosse normale, come se tutto è scritto, 
nascondendo le nostre debolezze 
chiamandole destino. 
Il padre cattivo ci giudica, 
e distribuisce pene per salvarci l’anima. 
Rimane solo un giardino vuoto che aspetta qualcuno, 
qualcuno  che lo annaffi,
dando vita a ciò che il tempo ha cambiato o distrutto.



Zingara.
Al di là del giardino l’aria è più calda. 
Serve sempre stare in silenzio 
per vedere il sole nascondersi 
senza rimproveri da fare. 
I miei occhi pensanti si chiudono
per lasciare fuori le figure del giorno.
Lasciami prendere dalla tua bocca i miei ultimi istanti.
Lasciami credere che dietro quel sorriso tutto sia vero,
che la porta potrebbe girare senza nascondere nessuno dietro. 
Masticare l’odio servirebbe se solo imparassi a respirare le bolle del mondo. 
Rimanere con il fiato sospeso
aspettando che il tuo viso appaia nel buio.
Rimane solo il mare ad urlare le solite note,
vicino alla riva, sotto il silenzio della sabbia umida.
Domani prenderò il treno che arriva al centro del tuo sorriso,
imparando a non dire il tuo nome sottovoce per la paura di perderlo. 
Cerco le risposte nel mio armadio, guardando alla rinfusa gli abiti senza vita,
appesi con sufficiente tranquillità. 
Mostrando i denti alla vita cerco di venire a galla
ma non riesco a sognare il sole. 
Mantengo le cose come sono, 
spolverando vicino senza spostare nulla, 
per non variare il parere di libri troppo severi 
per stare nel mio scaffale.
Impossibile rimanere impassibili alla vita,
al cambiare continuo delle cose, 
senza per questo cambiare modo di pensare. 
E’ difficile dire ti amo, calpestando solamente stanchezza,
solamente parole prive di vita senza ferite da nascondere sulle mani lisce.
Un altro giorno passa dietro la tendina del salotto, 
pensando che tutto sia in quel comodino, 
che tutto sia come deve essere.
Il tempo dei complimenti è passato,
ma non posso volare se non riesco a sentire il vento sul mio viso.
Sono imprigionato lontano dal mare, 
legato ad un soffio di vita regalatami tanto tempo fa.
Le foglie cadono non raccontando il motivo a nessuno, 
non avendo il tempo di essere tristi per il passaggio delle stagioni. 
Morirei nei tuoi capelli, in ogni tuo riccio, 
ricordandomi del sole sulla fronte e dell’odore della pioggia.
Rimane in fine una calma piatta, senza parole,
senza gridare in faccia alla gente per svegliarli
dall’inutilità delle cose.
La mia lavatrice continua ad uccidere le camice,
non avvisando i parenti, non provando pena
per il sapone negli occhi.
Per pochi denari vago errante per strade 
che non sono mie, per persone che fingono cortesia 
in cambio di un finto saluto disegnatomi sulla bocca.
Rido, rido mille volte mentre cambio pelle 
per affrontare un nuovo giorno. 
La drammaticità della tua solitudine, 
i vestiti sporchi sulle spalle, il tuo piccolo sorriso.
Ti parlo, non comprendendo la tua lingua, 
non facendoti elemosina, ma regalandoti calore.
Provo a sapere il tuo nome, ma non riesco a ricordarlo. 
Vorresti  leggere la mia mano, ma non voglio sapere il mio futuro, 
non capisci quel gesto ma sorridi ugualmente,  e io...
io ti tengo la tua, troppo morbida per stare lì
troppo dolce per soffrire ancora.



Sento.
Sotto il mio cielo silenzioso
ci sono  poche stelle
e non hanno bisogno di dire nulla.
Potrei guardare una foglia cambiare
lo stato rassegnato delle cose. 
Ascoltando un acquazzone estivo
potrei imparare a ridere di tutto. 
Dentro di me le luci si perdono 
con aria di sufficienza, 
diventando sempre più cupe e silenziose. 
Roma mi apre le porte lasciandosi guardare senza sorridermi.
Statue, palazzi, e la consapevolezza di essere piccolo,
troppo piccolo per comminare solo in mezzo 
alla marea uniforme di teste. 
Lasciami entrare, non farò rumore, 
non farò male alla notte solo per farle dire poche parole, 
solo per un sussurro di vento. 
Guardando il cielo, e vedere che lui distratto passa oltre, 
senza rimpianti, senza nulla di concreto da dire. 
E noi qui, rassegnati, senza voler cambiare viso 
per essere felici almeno una sola volta, un solo minuto. 
Mantenendo immutati sogni e speranze 
decidendo che si può trovare tutto lì, 
in fondo ai tuoi occhi, in fondo al tuo sorriso triste,
che mi ha abbracciato tenendomi stretto a ogni passo, 
sentendo il peso delle tue parole.
Desiderare cose impossibili, questo forse è il segreto, 
desiderare sentire la tua voce,
sapendo che potrebbe essere l’ultima volta, 
sentendo la musica piano piano 
entrare lasciandomi annientato sul pavimento freddo. 
Il marmo bianco si colora di nero, 
accompagnandomi  per mano in ogni via, 
fino a vedere la sera, che arriva senza riflessi. 
Ma ieri avevamo riso, ieri la tua voce poteva farmi sorridere,
senza lasciare traccia del tuo viso e dei tuoi capelli.
Cammino solo in mezzo a milioni di individui senza volto, 
guardando l’asfalto, cercando di capire in che mese siamo. 
Domani il piatto sarà ancora più amaro, 
sapendo che ci sei, sapendo che la tua bocca 
potrebbe pronunciare il mio nome. 
Guardo il mio viso riflesso in una vetrina, 
distorto e buffo, ride, ride di me. 
Non si ferma, lui sa, lui sa tutto di te. 
Sa che cambio il cielo con il mare, 
le nuvole con la sabbia e il sole con la luna. 
Prendimi per mano, portami nel giardino dei silenzi,
dove possa ammirare il giorno morire, 
dove posso piangere senza lasciar cadere lacrime sul mio viso. 
Lasciami guardare la tua ombra  in silenzio, 
non chiedendomi perché l’aria è blu. 
Dentro di me il sole non batte,
una lieve luce si accende lasciando 
scritto il tuo nome dove prima era buio.
Domani mi sveglierò aspettando il telefono squillare,
un salto in gola, una voce dolce. 
Aspetto, contando i giorni che non sembrano più tutti uguali, 
potrei colorarli uno per ogni giorno, aspettando una stella per parlargli di te. 
Stanco, guardo un libro, cerco di leggere frasi, cerco di capire,
cerco di sapere se potremmo camminare insieme, 
se potremmo respirare la stessa aria, se guarderemo lo stesso cielo. 
Mi copro il viso, non ascolto, non voglio sapere nulla, ma ho una certezza, tu.


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Data di pubblicazione 29/9/2000 - Ultimo aggiornamento 23/3/2001
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